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Buongiorno America!

Novembre 2020

Nel mezzo di una pandemia che continua a mietere contagi e morti, e con un’economia in difficoltà, l’America ha saputo cambiare rotta regalandoci una buona notizia, la speranza di cui tutti avevamo bisogno per affrontare i cupi mesi che il Covid e la recessione ci mettono ancora davanti.

Joe Biden, 78 anni, democratico, è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Con la sconfitta di Trump si può dire esaurita la prima ondata populista in Occidente, iniziata nel 2016 con i referendum sulla Brexit.

Certo è che la vittoria di Biden e della sua vice Kamala Harris non cancella l’America di Trump, così come la crisi dei populismi di governo non prosciuga il loro bacino di consenso, anzi, potrebbe addirittura alimentarlo di nuove rabbie e frustrazioni.

 

La storia dirà se Joe Biden riuscirà nell’impresa di guidare il suo Paese fuori dalla tempesta. Certo è che l’America ha deciso di affidarsi a un timoniere che, dal punto di vista umano, non poteva essere più diverso dal suo predecessore.

Il ruolo di Biden, uomo politico di lunga esperienza ed in età ormai avanzata, dovrà probabilmente essere in primo luogo quello del ricompositore, per quanto possibile, delle divisioni e delle piaghe di una società complessa attraversata da contrasti sociali, etnici, religiosi, che il suo predecessore ha accuratamente attizzato. Questi aspri conflitti ora chiedono una soluzione equa, un approccio mite e comprensivo, una proposta politica coerente, chiedono vicinanza alla quotidianità delle persone e limpidità dei comportamenti.

Esattamente l’opposto di ciò che ha caratterizzato la presidenza Trump (e non solo), anche circa l’uso senza mediazioni di riferimenti e simboli religiosi.

Inoltre, sia nella vita privata quanto nella sfera pubblica, Biden – al contrario di Trump, muscolare e provocatorio - ha dato prova di essere uomo di riconciliazione nell’affrontare le tante tensioni che attraversano la vita sociale di oggi.

 

Dichiaratamente cattolico, la fede è stata importante nella vita di quest’uomo che ha perso la moglie, due figli e ha rischiato lui stesso di morire. Nell’editoriale per il Religion News Service del dicembre scorso Biden ha scritto: “La mia fede mi insegna che noi dovremmo essere il paese che non solo accetta la verità dei mutamenti climatici, ma che guida il mondo nel rispondere ad essi.”

Poi, proprio alla vigilia delle elezioni, ha scritto per The Christian Post: “La mia fede mi implora di avere un’opzione preferenziale per i poveri e come presidente farò di tutto per combattere la povertà e costruire un futuro che ci porti più vicino ai nostri alti ideali- non solo che uomini e donne sono creati uguali agli occhi di Dio, ma che siano trattati allo stesso modo dai loro simili”.

Dichiarazioni che sembrano fare riferimento alle due ultime Encicliche di Papa Francesco,Laudato si’ e Fratelli tutti. E tuttavia, questa ispirazione religiosa viene declinata da Biden secondo la tradizione della laicità americana, in cui la fede in Dio costituisce un riferimento comune da tradurre in un linguaggio politico adatto a tutti cittadini, indipendentemente dal proprio credo religioso.

Dichiarazioni che comunque sono il segnale di un’altra ricomposizione in atto.

Favorire la visione del così detto “Vangelo della prosperità” è stato un impegno culturalmente decisivo della presidenza Trump. Questo Vangelo tutto nuovo, si pensa anche poco letto , teorizzato in molti ambienti religiosi americani connessi alla presidenza uscente, ha visto nella povertà quasi una colpa, quasi a voler trasmettere il messaggio che se sei povero, vuol dire che qualcosa con Dio non va.

Tornare al Vangelo delle Beatitudini non è certo un lavoro da Presidente degli Stati Uniti d’America, ma sarà pertanto importantissimo il lavoro del mondo socio-culturale connesso ai democratici e alla nuova Casa Bianca.

Una visione incentrata sui diritti individuali, sull’idea di essere “liberi di” invece che sulla necessità di “essere liberi per” , aiuterà certamente a curare le ferite sociali, a pensare una semina diversa, non più basata su chicchi d’odio, come quella che è stata compiuta negli anni trascorsi.

Per l’America, ma anche per tutti i continenti, la speranza è che il nuovo Presidente sia capace di lavorare per farci ritrovare quel senso di un comune destino che è oggi così difficile da riconoscere. Prima di tutto nel suo Paese, perché la divisione elettorale ci indica una società americana a pezzi, incapace di ritrovarsi in una visione condivisa del proprio ruolo nel mondo, condizione essenziale per ricomporre le diversità razziali, religiose, sociali, territoriali che la compongono. Secondariamente a livello internazionale, perché mai come in questo momento, attraversati dalla Pandemia che corre rigorosamente in ogni angolo del pianeta, e dove pertanto il richiamo all’unità dovrebbe risultare indispensabile, il mondo appare invece attraversato da potenti venti di guerra.

 

Marina Consonno