La sanità in Lombardia e a Como ai tempi del Covid 19
Luglio 2020
Il sistema sanitario lombardo non era preparato; il Piano contro le pandemie (un obbligo per le ATS) non era stato aggiornato dal 2006; nessuno aveva predisposto neppure delle riserve di DPI di base da utilizzare in situazioni di emergenza.
Premesse
- Non abbiamo ancora sufficienti ed affidabili dati per comprendere bene le dimensioni della pandemia e le sue cause ma una cosa è certa: sappiamo che epidemie simili potranno ancora avvenire in futuro;
- La prevenzione possibile non è solo un problema di risorse economiche; servono maggiori investimenti per la tutela della salute delle comunità, ma la scelta fondamentale è dove dovranno essere collocate le risorse;
- qualche insegnamento la realtà di questi mesi lo ha dato: qualcuno ha avuto 16.000 morti in altre regioni questa mortalità non c’è stata.
La realtà lombarda
Al di là del ritardo nella scoperta dei primi casi, nei mesi di marzo ed aprile scorsi, i due dati principali sono evidenti:
- Una gestione tutta ospedaliera dell’emergenza, che ha avuto anche come effetto il favorire una ulteriore diffusione del contagio;
- L’assoluto abbandono del sistema sanitario di base e delle strutture socio-sanitarie non ospedaliere: non solo i medici di base e le RSA ma anche i servizi e gli interventi dei “dipartimenti” dell’ATS e dell’ASST, che avrebbero dovuto avere la competenza in caso di rischio biologico diffuso nelle comunità (la medicina del territorio, quella del lavoro, quella per le scuole, le dipendenze, la psichiatria territoriale).
C’è stata una scelta di fondo compiuta in Lombardia dal 1995 in avanti: quella di costruire un sistema sanitario tutto centrato sulla cura specialistica della PERSONA ed una totale dimenticanza della salute come problema delle COMUNITA’.
La riforma Maroni del 2015, con la costituzione delle due strutture, ATS ed ASST, con una incerta attribuzione di competenze per i servizi sanitari territoriali, ha solo peggiorato la situazione.
Accanto alla scelta di lasciare grande spazio alla sanità privata, l’abbandono della sanità di base è uno dei gravi errori commessi dalla maggioranza di centrodestra che, dal 1995, amministra la Lombardia.
È stata data una centralità assoluta agli ospedali, dandogli in compito non solo di gestire le fasi acute delle malattie ma anche le cronicità, legate alle patologie più rischiose ed all’invecchiamento della popolazione. Ma se ha funzionato il miglioramento della cura per le fasi acute, con forti investimenti nella diagnostica e nella chirurgia, è totalmente fallito il progetto di affidare alle strutture ospedaliere la cronicità: semplicemente perché i pazienti (e neppure i medici) ci hanno creduto.
I portali web dell’ATS e delle ASST sono una chiara evidenza delle scelte intraprese: la sanità è diventata una sorta di supermercato dove, in diversi reparti, sono accatastati e mostrati singoli servizi, che il paziente può scegliere. La frantumazione specialistica del bisogno, dove la persona scompare come entità complessa per diventare un semplice UTENTE. Attenzione, questa è una valutazione delle scelte “della politica”, che non mette in discussione l’impegno che la gran parte degli operatori sanitari hanno dimostrato nell’emergenza.
Poi, a Como, si è aggiunta la sostanziale marginalità delle nostre strutture sanitarie rispetto a quelle di Varese, vera sede dell’ATS Insubria.
Ciò che ci insegna l’esperienza e quello che serve ora
È abbastanza stravagante pensare di risolvere il problema della nostra sanità semplicemente dividendoci da Varese e riformando una ATS comasca. C’è il problema, vero, di riconoscere delle identità territoriali intermedie in Lombardia, quello che erano le Province, ma questo non è per nulla sufficiente.
Il problema vero è cambiare il modello di sanità, recuperando il senso del dettato della Costituzione, che non a caso accosta il diritto dell’individuo all’interesse della collettività:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Art. 32.
Ciò che, urgentemente, deve essere fatto è ricostruire un sistema di servizi sociali e sanitari di base a livello territoriale: dando pari dignità ai servizi sociali e sanitari territoriali rispetto a quelli ospedalieri. Ma questo può essere fatto solo attraverso una azione sociale che ricostruisca la rete dei servizi territoriali, coinvolgendo i medici di base, i comuni, le strutture già presenti e gli organismi del Terzo Settore.
Va affrontato anche il problema della cronicità, legato all’invecchiamento della popolazione, con soluzioni diverse dall’ospedalizzazione.
E va rivisto anche il funzionamento delle RSA, articolando in modo diversi i loro servizi, ora basati essenzialmente sulla distinzione tra autosufficienti e non autosufficienti.
Va data pari dignità anche alla prevenzione non solo alla cura; e mentre la cura per definizione resta nelle mani degli specialisti, la prevenzione coinvolge tutti: dalle scuole, alle aziende, alle comunità civili, dai minori agli anziani, quindi tutti i cittadini che abitano un territorio, italiani e stranieri.
La pandemia dovrebbe aver insegnato che alcuni problemi che la natura ci pone possono essere affrontati solo insieme, non lasciando indietro nessuno. Gli slogan del “prima io” o “prima noi” aggravano i problemi ma non li risolvono.
Beppe Livio, già presidente provinciale ACLI COMO
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