"Non è detto che fossimo santi...", 65 anni di Circolo Acli a Cucciago
Dicembre 2022
I “Baraban” erano passati a Cucciago, in Corte Castello, ai loro esordi: da giovani. I “Baraban”: un complesso, per chi non lo sapesse, di bella musica e di canto storicamente impegnato, erano poi anche tornati, in momenti di loro maggior fama, con proposte che contemplavano l’esecuzione, tra l’altro, di “Oltre il ponte”, un testo (1956) di Italo Calvino sulla guerra partigiana, con musica di Sergio Liberovici, del quale esistono altre versioni: con i “Modena”, per dire, e la partecipazione di Moni Ovadia e di Francesco Guccini. Ma questo, loro, “Oltre il ponte” qui era rimasto nella memoria perché aveva sollecitato ricordi e identificazioni: a noi, alle Acli, era toccato essere da sempre nella condizione di dover andare oltre un ponte che, da sempre (si vuol ripeterlo), era e forse è ancora “in mano nemica”.
Per questo i titoli di poche righe dedicate al 65esimo anniversario di fondazione (1958-2023) del Circolo che ora ha il nome di Carolina Zappa, riprendono il testo di Calvino e l’esecuzione – per noi – dei “Baraban”, cominciando da quel “non è detto che fossimo santi…” che s’è posto all’inizio: non santi: né gli aclisti delle origini, né quelli venuti, a scorrimento e per accumulo, nel mezzo secolo più tre lustri che ne sono seguiti. Anche il ritrovarci, come ora accade, il 17 dicembre del 2022, per una sequenza fitta di momenti in un tardo pomeriggio di sabato, non è l’avvio della canonizzazione aclista locale – santi davvero no, insomma – quanto piuttosto l’inizio di “un nuovo anno sociale”, com’era definito dalla tradizione dei lavoratori cristiani: un anno che in questo caso è segnato dal ricordo, dalla ricapitolazione, dal far memoria e comunque, e ancora, dal pensiero progettuale per tempi lunghi. E – giova dirlo: perché si vuole farlo – è segnato anche della rivendicazione di un percorso: ormai di una storia nella storia. E di un disegno a venire, sempre nella storia, pur se in un piccolo paese.
«L’eroismo non è sovraumano…»
Non santi, dunque, e nemmeno eroi, che la nascita del circolo aclista, nel 1958, è anzi molto normale, in tutto simile a quella di molti altri circoli e di molte associazioni del dopoguerra e del primo quindicennio democratico e repubblicano in Italia. Uno dei libri che cominceranno il loro percorso da sabato 17, dedicato ad un remoto vicario della parrocchia – don Giulio Rigamonti – specchia anche il costituirsi di un gruppo di (allora) giovani che avrebbero poi segnato e guidato la comunità locale a livello pubblico. Rosanna Moscatelli, l’autrice, annota la forte caratura spirituale di quel giovane prete, la sua azione concreta e innovativa, la capacità di essere formatore e ispiratore di un consistente gruppo di laici: ne viene un universo aclista tradizionale e al tempo stesso nuovo, che frequenta adunanze e riunioni sociali, che raduna ogni anno “Leve del lavoro” giovanili, che converge in giornate di “ritiro”, ma che si apre subito al vento del Concilio ecumenico, a forme dirette di impegno laicale nella Chiesa, ad azioni – nuove e inattese per l’epoca – di scuola popolare, per bambini prima, a Valmulini, e, anni dopo, per adulti, a Cucciago: simili a quelle di don Milani a Barbiana e a Calenzano; poco sapendo – forse nulla all’inizio – dell’una e dell’altra ma avendo con quelle molte consonanze e le medesime ispirazioni di fondo.
Tutto questo avviene mentre la contestazione di quegli anni è una sorta di sfondo ispiratore, di senso e di suggestione, da approfondire e da cui trarre orientamenti e pratiche sociali. È la normalità della militanza di quel tempo; è l’impegno faticoso e intelligente, documentato e creativo, nutrito di confronti e discussioni oltre che di letture e di studio. Uscirà da questo crogiolo il nucleo fondativo di un’esperienza di amministrazione civica come “Alleanza Popolare”. Ma soprattutto troverà queste strade la vocazione aclista alla giustizia sociale che conduce a impegni nei campi più impervi, dove in quegli anni non si avventurano neppure le organizzazioni operaie più salde, di struttura sindacale. L’operaismo cattolico, il laburismo cristiano, i “laici christifideles” del Vaticano II sono attivi su questi fronti più vischiosi, a perenne rischio di populismo, in nome di una “Chiesa in uscita” – si direbbe ora – e di un impegno senza remore. Intanto prosegue comunque l’attività più consueta come l’assistenza previdenziale, il patronato sociale, la formazione professionale. E l’informazione (anche la contro-informazione), con un giornale ciclostilato attraverso il quale raggiungere tutte le famiglie, il più frequentemente possibile; questa è la rete di raccordo dei diversi piani in gioco. Si tratta d’un foglio che è anche strumento di confronto e di crescita interna, discusso com’è – in riunioni settimanali di circolo, ogni sabato sera – non pagina per pagina ma rigo per rigo, sin alla frase, al termine, alla virgola.
«Ogni passo che fai non è vano»
Ma questo già è un approdo successivo. Viene dopo la partenza da Cucciago di quel don Giulio poco allineato col parroco-prevosto: due spiritualità forti ma diversamente orientate; viene dopo l’opzione di rottura dell’unità dei cattolici in politica (1969) che porta all’allontanarsi delle Acli dall’ambito parrocchiale cucciaghese e al costituirsi di un conflitto ora strisciante, ed ora pubblico ed esacerbato con chi si àncora su posizioni retrive, prima, moderate e neoconservatrici, poi, e globalmente di chiusura tanto in ambito ecclesiale quanto in quello culturale e politico. Col neo-integrismo – si cita Comunione e Liberazione di quei lunghi momenti – i confronti sono espliciti per idealità e, a livello locale, sono spesso sottotraccia, per comportamenti. Le Acli sono, a Cucciago come altrove, la sinistra cristiana.
Accade dopo – si diceva – e si sostanzia anche, ma non si esaurisce, in un percorso di politica amministrativa, con un impegno in cui le Acli di Cucciago stremano le proprie energie lungo gli anni Settanta, Ottanta ed i primi Novanta, quando si fanno perno di gruppi dirigenti locali in cui operano, tutti insieme, anche militanti socialisti e comunisti. In quei comportamenti le culture, come in tutto il Paese, si mescolano e si contaminano: se i nomi vengono dalle suggestioni, con esito tragico, del Cile di Salvador Allende, la pratica anticipa, di due decenni, il percorso dell’Ulivo di Romano Prodi.
Il non demordere delle Acli di Cucciago nella determinazione di salvaguardare ed affermare la propria specificità e la propria capacità di anticipare i tempi e le scelte incrementa le fatiche e genera idee di futuro.
Gli anni Settanta e Ottanta sono quelli della democrazia partecipata sui luoghi di lavoro e nelle scuole, nella sanità e negli ambiti di gestione dei servizi pubblici: sono gli anni dei “consigli” e dei delegati, degli organismi di rappresentanza a delega prossima; gli anni in cui le Acli comasche parlano di forme di “democrazia intermedia”. Da noi la presenza degli aclisti e delle acliste è capillare: per tracciarne una mappa destinata al settimanale delle Acli nazionali – “Azione sociale” – si proporrà un titolo che suona all’incirca “Un camino, un circolo e aclisti diffusi”: un titolo che non passerà, a favore d’un più banale “E il paese scelse un sindaco aclista” che neppure raccolse il fatto, pur argomentato nel testo, della presenza di un camino vero in tutte le sedi acliste cucciaghesi almeno sino a tutti gli anni Novanta.
«…L’avvenire di un giorno più umano/e più giusto, più libero e lieto»
L’orizzonte aclista di Cucciago non si esaurisce solo sul proprio territorio. Tra le figure personali di quel gruppo “di don Giulio”, una soprattutto emerge infatti in ambito locale e sboccia a livelli di responsabilità provinciali e regionali. Giancarlo Pedroncelli non è infatti soltanto il leader riconosciuto del gruppo aclista, né soltanto il sindaco di Cucciago per sei mandati consecutivi – dal 1975 al 2004 – ma emerge come operatore, segretario organizzativo, in tandem con Angelo Leoni, e poi presidente dell’Unione provinciale e poi dell’Interprovinciale Frontalieri Acli. Il percorso è ricostruito ed interpretato nel secondo volume affidato alle stampe per il 17 dicembre. Beppe Livio colloca questo percorso di impegno e “invenzione” politico-sociale, in termini formativi e simbolici ancora a Cucciago scrivendo che è terra, in sé, di molte frontiere: “La Chiesa di Cucciago è periferia della Diocesi Ambrosiana; è una frontiera ecclesiale, ma anche la provincia di Como è terra di frontiera. Al di là c’è un altro Stato. Ma, oltre a quella ecclesiale ed a quella statale le Acli vivono una terza frontiera: quella tra cristianesimo e le culture del lavoro. E in questa storia, le frontiere non sono però barriere ma soglie che si superano, porte che si aprono”.
Scegliendo le vie di una giustizia sociale che i numerosissimi lavoratori frontalieri spesso non trovano nei loro contratti e nella loro quotidianità di lavoro, per trattamenti previdenziali e sociali quanto meno impropri, l’organizzazione aclista dei lavoratori che vivono sull’attraversamento del confine i tempi del lavoro, da un lato, e della famiglia e dell’abitare, dall’altro, costruisce una strategia che si consolida e approda a molti, non ovvi, risultati concreti. I frontalieri aclisti vengono portati ad essere parte integrante ed importante delle Acli provinciali nello scorrere del tempo. Sono nei congressi, negli organismi dirigenti, tra i responsabili delle scelte di politica generale e di testimonianza aclista.
Non sono neppure in questo caso le grandi fabbriche ad essere teatro dei contatti e delle battaglie dell’Unione frontalieri: i volantinaggi avvengono a cavallo della linea di confine tra due Stati, gli incontri sociali in aule scolastiche o parrocchiali delle valli alte del Lario e d’altri laghi, i recapiti del Patronato trasfrontaliero in retrobotteghe di bar, di oratori, di ambulatori. Marginalità su marginalità, nel mutare delle fasi economiche svizzere che sul frontalierato scaricano pesi di lavoro (e di licenziamento) sarà quell’ormai ex-ragazzo dell’oratorio di Cucciago a raggiungere la stipula, persino, di una Convenzione internazionale tra Italia e Svizzera per regolamentare in radice, non soltanto tecnicamente ma secondo giustizia, l’universo del lavoro frontaliero. L’incontro al Quirinale con Sandro Pertini sarà argomento di conversazione in una sera del sabato, davanti al camino del Circolo aclista cucciaghese.
«E vorrei che quei nostri pensieri, quelle nostre parole d’allora…»
Il passaggio delle generazioni, l’affaticamento del lavoro amministrativo, il venir meno di energie personali determinano talvolta esiti non compiuti nel rilancio specifico della presenza aclista: il giornale allunga all’estremo i suoi tempi di edizione, ogni volta promettendo di voler tornare a quelle più frequenti; i testi di storia del territorio – altra originalissima passione aclista in loco – divengono libri pubblicati da “Alleanza Popolare” o dalla Biblioteca comunale; gli incontri sociali “classici” mutano in attività pubbliche del Comune, in manifestazioni per l’ambiente, in ricostruzioni e ricostituzioni di Feste remote cadute in disuso: valga per tutte quella della “Madonna della Neve…” In qualche maniera lo spirito aclista si diffonde e si fa tessuto connettivo generale. Poi…
Poi, anche inattese, avvengono le riprese del circolo Acli. Nuovi inizi trovano occasioni di tipo estetico e fotografico, poi di collegamento tra natura e arte, poi – e qui davvero si manifesta una fase dirompente – di invenzione con i caratteri dell’animazione sociale di base; laboratori e corsi si volgono a tematiche di manipolazione, bricolage, pasticceria: qui contano meno gli esiti pratici, che pure esistono, dei momenti di socialità che si costruiscono e si ricreano, ripetendosi. Conta – ed è un’acquisizione in più – la decisione di spostare l’attenzione verso le età dell’infanzia, con iniziative di lettura ad alta voce per bimbi/bimbe anche pre-letterati, laboratori di pasticceria – a iosa – di dolcerie d’ogni genere, laboratori di costruzione con elementi di natura ma anche con (micro) neotecnologie ad energia solare, con visite al bosco per ascoltarne suoni e impararne nomi sparsi.
L’animazione – questa – è il nuovo nome aclista della socialità comunitaria. Le Acli a Cucciago non la “dicono” soltanto ma la attivano. E si pongono come centro della rete con altre esperienze associative, di molta continuità nel tempo (come “Il Portico”, che si volge alla terza età) o più effimere e pro-tempore (le associazioni tra genitori).
Altri margini vengono frequentati: le parole “forti” d’origine, i pensieri d’allora passano alle nuove generazioni di aclisti con iniziative – ben documentate anche televisivamente – di uno scambio di culture, ad esempio, con chi viene da terre lontane: “Il baratto delle narrazioni” (2016) raduna lingue diverse per scambiare storie, favole, racconti in molte lingue che si traducono tra loro. Quando poi la pandemia strappa la socialità brano a brano, è il Circolo Acli a spostare rapidamente su piattaforma molte di queste attività: le prime, non a caso sono quelle che coinvolgono i piccoli, per affrontare subito il nodo problematico del loro isolamento: si costruisce collegandosi, si legge da lontano/vicino, ci si fa pasticcieri on line. Per paradosso, complice il confinamento forzato, le famiglie risultano ancora più coinvolte e responsabilizzate.
Sulla rete, sull’interconnessione virtuale passano anche, e forse si decidono per questa nuova situazione, le iniziative che si collegano in esplicito alle ispirazioni culturali e spirituali d’origine e alla loro memoria: gli incontri on line riguardano David Maria Turoldo come Adriana Zarri, le cronache lugubri dei Lager come pure – e non risulta una forzatura farla in rete – i compleanni di antiche acliste e antichi aclisti, in servizio attivo, attraverso i quali e con materiali sonori e visivi aggiunti, si richiamano i collegamenti dei tempi iniziali: con alcuni sindacati, con gli scout, con il primo associazionismo cattolico post-resistenziale.
In rete ancora le Acli di Cucciago fissano e presentano un museo virtuale – una novità assoluta nel panorama associativo italiano tutt’intero – dedicato alla loro storia e alla figura di quel sindaco amato che da un decennio ha lasciato questa vita.
«… Rivivessero in quel che tu speri/o ragazza color dell’aurora»
Non è un caso che, misurando l’ultimo decennio, prima e dopo la pandemia, si trovino anche i ritorni al circolo di Cucciago dei presidenti nazionali del Movimento aclista. Giovanni Bianchi, che già era stato con noi – un po’ di casa, anzi – persino invitato col titolo “Un tè alle cinque…” in una domenica pomeriggio nella Torre di Corte Castello, riprende queste nostre strade in veste di Deputato alla Camera (su Sant’Arialdo) e poi come Presidente dei Partigiani cristiani per ragionare insieme di “Resistenza senza fucile”, poco prima di lasciarci, nel 2016. Ma nel ricordo di quel passaggio un altro presidente, Roberto Rossini, si affaccia l’anno successivo per parlare di Giovanni stesso, in memoria, di storia delle Acli, di ruoli e funzioni del nostro vivere associato.
Anche questi ritorni sono un segno: di un circolo che sa e che non solo ha fatto ma fa la storia nella comunità in cui ha radici. Costruendo, combattendo, sapendo di avere non solo avversari ma anche nemici – son figure diverse – con cui misurarsi e battagliare; perché noi siamo coscienti di essere chiamati – così Achille Grandi – “ad un grande compito”. Che non si esaurisce. Che deve passare e deve rivivere nelle speranze dei giovani d’oggi e di quelli futuri: di generazione in generazione.
Ciò che può accadere purché ci si ponga in grado di trasmettere, narrando – di nuovo e conclusivamente con Calvino e i “Baraban” – “quei nostri pensieri, quelle nostre parole, d’allora” perché quelle possano rivivere “in quel che tu speri/o ragazza color dell’aurora”.
Renzo Salvi, presidente Amici della Cittadella (Assisi)
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